Wednesday, September 28, 2005

LA DITTATURA DEL CAPITALISMO

Relazione redatta da: Emiliano Ceccarelli

Edward N. Luttwak
LA DITTATURA DEL CAPITALISMO
DOVE CI PORTERANNO IL LIBERALISMO SELVAGGIO E GLI ECCESSI DELLA GLOBALIZZAZIONE
Mondadori, 1999, Milano
(Traduzione di Andrea Mazza)


Prefazione

Il capitalismo come poderosa invenzione dell'uomo. Vera espressione dell'animo irrequieto della civiltà europea, al pari dell'impulso a scoprire, creare e conquistare. Le economie tradizionali bloccate da prassi immutabili, le economie comuniste dirette da burocrati, le economie chiuse sottoposte a comandi totalitari sono state spazzate via. Nulla può eguagliare il capitalismo, che trasforma la naturale cupidigia umana in energia produttiva, che persegue efficienza ed innovazione con il successo di quella competizione tesa al profitto e al benessere, al di là del modello organizzativo. Il capitalismo come unico sistema che può garantire un'esistenza decente, contro cui non esiste soluzione accettabile. I limiti compaiono in quell'impersonale capitalismo finanziario e d'impresa che caratterizza i paesi più ricchi, in cui si sacrificano obiettivi sociali, politici e culturali in nome di poco profitto e poca crescita in più. Le ambizioni classiche del capitalismo sono profitto ed espansione, hanno però, in questi paesi, portato a certe prassi inconsulte come improvvisi licenziamenti di massa o improvvisi fallimenti di imprese nel solo nome del mercato borsistico, tanto che si preferisce il guadagno immediato al beneficio più ampio, e a lungo termine. Così si va ad attivare un'ingiustizia di fondo, pronta a retribuire bene un posto precario, pronta a sostenere il mercato dei consumi immediati, senza però aiutare l'uomo comune a costruirsi una vita. Ricordando che le imprese non sono enti morali, perciò il controllo al capitalismo deve essere compito esclusivo dei governi. All'inizio degli anni 70', ogni

paese non comunista era divenuto sempre più visibilmente ipercontrollato. La politicizzazione e la burocratizzazione delle imprese si delineava, però, come processo dannoso sia per l'innovazione creativa, sia per la semplice voglia di lavorare. Così il capitalismo controllato andò in declino, anche se non si può parlare di fallimento, anzi, di un successo. Dalla fine della seconda guerra mondiale alla metà degli anni 70', le economie europee ed americane, hanno beneficiato di un periodo di crescita sostenuta diffondendo benessere. Il declino è stato causato da soggetti bramosi di trarre vantaggi dalla liberalizzazione, dall'analisi dell'impatto sulla produttività dei diversi settori dell'economia, ma non di quelli sociali. Se l'efficienza economica aumentava, anche le inefficienze della società: declino del concetto di comunità, instabilità della famiglia, aumento della criminalità.

Vincenti e perdenti

Sotto la minaccia di declino e disoccupazione, il mondo occidentale, alla fine degli anni 70', decise di adeguarsi ai modelli di lavoro e ricchezza adottati dall'economia americana. Nacque così il turbocapitalismo, che si scatenò grazie all'abolizione delle legislazioni e delle regolamentazioni protezionistiche, alle innovazioni tecnologiche, a quella privatizzazione del "tutto è privatizzabile". Se per taluni i risultati di quel processo sono stati spettacolari (es. Microsoft), per molti altri ha segnato la nascita e l'evolversi di lavoro tradizionalmente proprio del sottoproletariato, precario, mal retribuito, desindacalizzato, anche nel fatidico periodo (U.S.A. - 1997) in cui la disoccupazione al di sotto del 5% avrebbe dovuto garantire più forza ai sindacati, quindi ai lavoratori. A ciò si deve aggiungere il sorgere dell'equazione sottoproletariato - disoccupati = popolazione carceraria (almeno negli U.S.A.). Il legame di causa ed effetto esistente fra turbocapitalismo e criminalità è determinato dalle sempre più rapide modifiche tecnologiche e strutturali, che hanno comportato l'eliminazione di molte occupazioni, e che portano, a chi non riesce ad entrare in questo regno del lavoro, ad essere coinvolto in attività criminose, così come nelle città anche nelle campagne. Se, inoltre, si può affermare che almeno più di 100 milioni di americani hanno un tenore di vita in costante ascesa, è anche

giusto ricordare che molti vivono al di sopra delle proprie possibilità economiche, e ciò perché la concessione personale di "credito ai consumi" avviene con estrema facilità, proprio per alimentare quell'economia del consumo a discapito dell'economia del risparmio. Il turbocapitalismo è una forma capitalismo senza controllo statale, che mira ad un commercio senza barriere, che non si limita ad approvare la globalizzazione ma la fa ideologia e religione, che promuove uno sviluppo costante dell'economia dei consumi non proporzionale all'economia dei redditi, con tutte le gravi conseguenze che ne derivano. Attualmente, i paesi di mezzo mondo stanno importando il turbocapitalismo, privo però delle due grandi forze che servono a controbilanciarne lo strapotere (presenti invece negli U.S.A.):
• Il sistema giuridico: permette alla gente comune, con eccezionale facilità, di ottenere profitto a titolo di risarcimento, in nome dell'interesse pubblico, attraverso vie legali. Se, inoltre, le imprese hanno, attraverso il libero mercato, la possibilità di accrescere il loro potere tanto da trasformarsi in monopoli, processo accelerato dal turbocapitalismo, gli U.S.A. sono dotati di una legislazione antitrust (antimonopoli). Tutto ciò, va ad ingrassare la categoria degli avvocati, categoria che gestisce, a suo vantaggio, il controllo dello Stato sull'impresa. Ciò non è presente in altri paesi, dove si importa il turbocapitalismo, anzi, il "gioco" è caratterizzato da economie politicizzate e da politiche mercificate, caratteristica che non consente alla politica di controllare l'economia, che a sua volta non riesce ad esserne convenientemente svincolata.
• L’influenza dei valori del calvinismo: permette agli americani di accettare le stridenti disuguaglianze del turbocapitalismo. Le regole del calvinismo sono assai semplici ma vincolanti, a) la ricchezza guadagnata dai vincenti non è di impedimento alla virtù (anche se - risvolto di carattere puritano - ai vincenti non è permesso di godersi le ricchezze accumulate, devono lavorare per divenire ancora più ricchi); b) i perdenti sono dei falliti, il fallimento è il risultato non


di sfortuna o ingiustizia, ma della disgrazia divina; proprio come la capacità di arricchirsi è ritenuta prossima alla santità, l'incapacità di riuscirvi è ritenuta prossima al peccato, anzi è peccato; perciò molti americani, pur relativamente benestanti, vivono oppressi da un pesante senso di colpa, privi di qualsiasi autostima. c) la maggioranza dei perdenti è costituita da poveri veri e propri, più che da persone insoddisfatte dei propri risultati, che costituiscono i non calvinisti, che non sono paralizzati da senso di colpa e non hanno un livello di istruzione sufficiente per esprimere il proprio risentimento in modi legali, e sono destinati a finire in prigione. Le 3 regole risultano collegate nel "sistema calvinista", nel quale i vincenti riescono a contenere il dilagare dell'invidia praticando morigeratezza, il grosso dei perdenti se la prende con se stesso per il proprio destino ed entrambe le categorie danno sfogo a frustrazioni personali chiedendo il castigo inflessibile dei perdenti che osano ribellarsi. L'America è una nazione definita più da concetti, che da razza, religione, cultura. Essi hanno sempre una nuova idea o causa da sostenere e da imporre al mondo intero, spinti dalla razionale convinzione di avere finalmente trovato l'unica verità possibile, ma anche dal desiderio passionale di vederla universalmente riconosciuta. Allo stato attuale pensano di avere scoperto la formula del successo economico, come l'unica formula: privatizzazione + liberalizzazione + globalizzazione = turbocapitalismo = prosperita'. Questa formula, nonostante abbia incontrato il favore di molti, manca dei 2 contrappesi sopra analizzati, senza cui non risulta valida al di fuori degli U.S.A..

Che cos'è il turbocapitalismo?
I suoi fautori lo chiamano semplicemente libero mercato. I suoi profeti professano la libertà dell'impresa privata da regole governative, la desindacalizzazione, l'eliminazione di barriere doganali o restrizioni sugli investimenti, una minore tassazione, la destatalizzazione di ogni genere di servizi da trasformare in

aziende di profitto, per costruire un'economia più dinamica, che generi ricchezza (senza precisare nulla circa la distribuzione). Così come si può definirlo libero mercato, lo si può definire capitalismo sovralimentato o turbocapitalismo, perché in sostanza diverso da quel capitalismo controllato che ha prosperato dal 1945 fino agli anni 80'. Il turbocapitalismo presenta numerose caratteristiche in comune con la versione sovietica del comunismo: il fatto di possedere un unico modello ed un unico corpus di regole per tutti i paesi del mondo, ignorando ogni differenza in termini di società, cultura, temperamento (fatto estraneo, invece, al capitalismo controllato). La distinzione, invece, sta in quella "distruzione creativa" , che consiste nella distruzione di settori, imprese, prassi improduttive, per la creazione di nuove attività per un sempre più efficiente sfruttamento di risorse naturali, umane, finanziarie, culturali volto a accrescere e generare dal nulla nuova ricchezza. Eppure proprio nella consapevolezza del suo valore inestimabile, la "distruzione creativa" è stata tenuta sotto controllo, portando ad innovazioni su strutture decrepite, obsolete, che hanno prodotto, nonostante l'enorme utilizzo di capitali e forza lavoro, sprechi strepitosi, lasciando in miseria la maggior parte della popolazione. Il capitalismo non più ostacolato dalla proprietà pubblica, dalle regolamentazioni governative, da monopoli, sindacati vitali, è il sistema più produttivo mai apparso sulla terra. La novità consiste in una mera questione di intensità, in un fenomeno di accelerazione del cambiamento strutturale prescindendo dal tasso di crescita economico. La novità è nell'abolizione della proprietà pubblica, nella pianificazione decentrata, nell'eliminazione del dirigismo amministrativo, nell'auto - regolamentazione dell'impresa e dell'economia. Turbocapitalismo che si aiuta, per accelerare i cambiamenti strutturali, con la "globalizzazione" che ha l'effetto di espandere ovunque un prodotto competitivo al di là dei confini del mercato locale, con un migliore utilizzo delle risorse mondiali. Accelerazione al cambiamento maggiorata con la sostituzione dei rapporti commerciali consuetudinari e a lungo termine, con relazioni contrattuali, fredde, occasionali, basate rigidamente sulla domanda e sull'offerta. Causa - mezzo del cambiamento è l'aumento produttivo introdotto dalle tecnologie e dai computer. Il cambiamento genera inesorabilmente diverse ambiguità: adattamento/frustrazione, opportunità - ricchezza/solitudini - assenza affetività.

Ascesa e caduta nell'economia mondiale

Nella nuova economia, produttività - efficienza e stabilità dell'azienda - posti di lavoro - titoli di borsa, non percorrono la stessa strada, anche se ciò può sembrare illogico. Spesso le aziende licenziano per non far aumentare il costo del lavoro, il costo della manodopera; spesso aziende stabili ed in costante crescita, licenziano (fino ad arrivare a cifre spaventose) e/o assumono, solamente per incrementare il valore dei titoli, creando euforia nei mercati borsistici. La spiegazione è che il mercato azionario, non guarda più alla produttività o alla capacità di soddisfare le richieste da parte di un'azienda, ma alla diminuzione dei costi operativi. Tutto ciò va messo in relazione ai posti di lavoro già eliminati in molti settori dall'avvento delle nuove strutture tecnologiche. Questo è particolarmente fiorente negli U.S.A., e se da una parte il mondo invidia l'abbondanza di posti di lavoro, dall'altra non ne invidiano né la stabilità, né le remunerazioni. D'altro canto, le aziende si pongono ai vertici di settore, operando grossi investimenti, che le espongono ad enormi rischi di fallimento, ulteriormente rafforzati dalla rilevante competizione internazionale, senza quindi quel protezionismo doganale, che ne riduceva i ricavi aumentandone la stabilità. Ciò comporta una drammatica distribuzione del reddito (l'America è molto vicina ai paesi del terzo mondo), un'assenza di mobilità verticale nella società sostituita da un'ineguale mobilità orizzontale, che produce solamente effetti illusori. Tutto questo produce negli States, criminalità (sottoproletariato) - proibizionismo (insicurezza del ceto medio) - giustizia ed intolleranza, tolleranza ed ingiustizia, così creando un'interpretazione della new - economy che equivale a libero mercato e società meno libera.
Questa, criticamente, può essere considerata l'era:
• Della disoccupazione: Disoccupazione come conseguenza inevitabile della fase in cui si trova il ciclo della domanda mondiale - tecnologia. Siamo, infatti, in un periodo in cui v'è eccedenza di tutto (definibile come periodo di deflazione), iniziato negli anni 80' e destinato a durare ancora per molto. Si registra un eccesso di offerta di materie prime e prodotti finiti, pertanto si ha disoccupazione.

Altro fattore causale è l'economia globale sempre più turbocapitalista. L'aumento dell'efficienza sulla spinta dell'informatizzazione prosegue anche durante le fasi di recessione. Quando giunge la ripresa economica, con un aumento della domanda e della produzione, è possibile produrre di più senza incrementare gli organici.
• Della nuova bellicosità: la geoeconomia: I contendenti non sono più entità nazionali, ma aziende determinate ad accumulare profitti, spesso quotate in borsa. Alla fine della Guerra Fredda è cessata la solidarietà contro il nemico comune e si è riattizzata la competizione tra U.S.A., Europa e Giappone, nonché tra gli altri paesi marginali; competizione che va dal campo aerospaziale a quello relativo alla produzione di telefilms. Si è così aperta l'era della geoeconomia: investimenti, ricerca e sviluppo, campagne di marketing in ambito commerciale, incoraggiate, assistite o canalizzate dallo Stato. Alla dinamica geopolitica corrisponde una vera e propria gara all'armamento dal punto di vista non solo militare, ma soprattutto economico.
• Dello smantellamento, in ogni Paese, della propria formula di capitalismo controllato.
• Del libero commercio come ideologia: Il dio degli adepti al culto del mercato che cantano la gloria del turbocapitalismo è Adam SMITH, ma la devozione di costoro (U.S.A. e Gran Bretagna) dipende sostanzialmente dal fatto di non averlo mai letto. Infatti sia Smith, che il suo predecessore Martyn, avevano costellato la loro opera di riserve, deroghe ed eccezioni alla regola del libero mercato, come mezzo di diffusione di efficienza e benessere, analizzando anche la distinzione e la direzione della ricchezza e del benessere, ponendo le basi per un'analisi dei vantaggi e svantaggi della teoria del libero scambio.
• Della religione denaro: In questo particolare momento storico, dove si trasferisce il potere dalle pubbliche autorità agli interessi economici privati, rivolto quindi al turbocapitalismo, si sta professando

la dottrina del monetarismo ortodosso, che mira a togliere ai governi, ai cittadini che essi rappresentano, ogni potere di regolamentazione nei confronti del denaro. Parliamo di quell'ortodossia monetaria che preferisce svalutare il lavoro anziché il denaro, che non crea disoccupazione ma genera un calo delle retribuzioni. Come ogni altra religione, nel monetarismo ortodosso c'è la dualità tra il dio moneta forte ed il diavolo inflazione. Ma se l'inflazione e l'iperinflazione sono mali terribili, anche la deflazione lo è: quest'ultima porterebbe ad un'inflazione pari a zero, attraverso l'azzeramento del rapporto tra debito pubblico e PIL tagliando qualche programma sociale, mostrandosi disciplinati nei confronti dei tassi, ma generando se non stasi un forte rallentamento dell'economia, dove disoccupazione e poca crescita sarebbero la fondamentali alla stabilità di questo ipotetico sistema (il male peggiore e pubblicizzato, continua ad essere però, grazie al monetarismo ortodosso, l'inflazione).
• Dello shopping come terapia: Il turbocapitalismo non solo come processo, ma come via obbligata per il successo. Così come l'economia più prospera del mondo (U.S.A.) è la più indebitata, anche la prosperità dei redditi porta a consumi e spese eccessivi, ad indebitamenti. Questo perché questo popolo per sentirsi veramente "libero", per sentirsi meno solo, compra, come se comprare fosse la cura migliore. L'America ha bisogno di lavorare per pagare, con gli interessi, ciò che ha comprato. Questo il folle cammino d'un popolo sempre alla ricerca, sempre insoddisfatto, sempre meno libero, sempre di più.

Dell'avanzata globale del turbocapitalismo

Se, il desiderio di Luttwak, era quello di fornire una prospettiva di analisi, se non oggettiva, almeno il più possibile super - partes, come io penso e come sembra dimostrare il titolo ed il


libro stesso, allora si potrebbe sottolineare come questa interessante ed avvincente analisi del mondo contemporaneo, sia comunque, con evidenze sparse, un elogio da americanista. Questo, pur facendo un'attenta analisi critica dell'evoluzione turbocapitalista in America, risulta uno schieramento. Quest'analisi di parte tenta di aprire la strada ad un'autocritica del capitalismo contemporaneo, una delle sue uniche vere forze, a mio modesto parere. Ma il rifiuto di esaminare, oltre alle forze competitive, le forze cooperative, che peraltro potrebbero offrire qualche elemento di innovazione miglioratrice in più, sembra non interessare. Interessa forse di più far comparire, più volte, tabelle di dati, tese a sottolineare la tendenziale natura pseudo - scientifica del libro, pseudo - oggettiva. Complessivamente un buon libro, se letto con quella vivacità critica (non necessariamente indispensabile) che oggi purtroppo lascia molti abbagliati più da luci - miraggio, che da sostanze.